Laurel & Hardy vanno in paradiso


Sotto la Lente 
Venezia 4 aprile 2008

Rappresentato con successo al Teatro Aurora il testo di Paul Aster, nell'adattamento di Lorenzo Bassotto.

Paul Auster ha imparato che la solitudine è una disciplina preliminare, che include una ambiguità diffusa, incapace di aprirsi alla promessa del bene o del male. E' nella solitudine che si prepara il sortilegio, senza mai sapere se l'operazione andrà a buon fine. Laurel & Hardy vanno in paradiso, a cura di Fondazione Aida Teatro Stabile d'Innovazione, prende Auster e lo miscela con il mito novecentesco di Stanlio e Ollio.
In una no-men land senza coordinate spazio-temporali - privata di qualsiasi accenno alla natura (desertica o rigogliosa che sia) - si svegliano Stanlio e Ollio, entrambi alterego postmoderno di Vladimiro ed Estragone di beckettiana memoria. Ma Laurel e Hardy non stanno ad aspettare, hanno un libriccino che, a metà tra il ricordo biblico e quello orwelliano, prescrive loro una decina di esercizi ginnici e spirituali nonché alcune regole (sfacciatamente restrittive) sul lavoro e il comportamento che sono obbligati a tenere, pena punizioni gravissime evocate, più che esplicitate, dal terribile libretto. Da qui comincia lo show di Lorenzo Bassotto e Paolo Esposito, che ci danno dentro con la mimica comica: letteralmente si potrebbe dire che sanno come muoversi per strappare una risata proprio sul limitare della storia, quando il pubblico è ancora freddo e potrebbe anche pentirsi se oltre a Stanlio e Ollio non aveva messo in conto Auster. L'idea migliore dello spettacolo è quella della scenografia: una serie di enormi blocchi di polistirolo/marmo disposti casualmente, che corrispondono aglio elementi del muro che i due dovranno costruire. Sul passaggio dal disordine all'ordine si fissa la strada su cui corre lo spettacolo. Ogni volta che un blocco di marmo viene piazzato al suo posto, secondo lo schema illustrato dal libretto, su di esso si accende di un'immagine proiettata che, seguendo il paradigma di un puzzle, costruisce a poco a poco un interno domestico: perfetto e accogliente.
Il muro ha regole precise, governa i suoi lavoratori, ma offre loro protezione e difesa. Stallio e Ollio, schizofrenici come tutti noi, odiano la loro solitudine e la ripetitività delle loro azioni, ma il muro è tutto quel che hanno e - celatamente e inconfessatamente - lo amano. Tanto che quando all'orizzonte si profila una sagoma di uomo i due vi si rifugiano proteggendosi, esasperando quella paura che è così attuale nei fragili animi degli uomini d'oggi. Il muro è quindi insieme difesa, riparo e necessità di mettere una pietra sull'altra per modificare la scena, farla assomigliare a se stessi, darle un senso che poi ci restituisca prontamente.
Con questa trovata scenografica lo spettacolo riesce a trovare la lunghezza d'onda giusta: tra il pop e il cerebrale, ma soprattutto capace di essere semplicemente ciò che ognuno ci vede, come si conviene ad ogni buon brano letterario o - che poi è lo stesso - ad ogni buon classico.
Altra pensata di Auster, i gravosi mattoni diventano ad un tratto leggeri. Bassotto e Esposito si mettono a danzare, con i mattoni sulla testa, preferendo ritrarre col gioco questo che forse poteva essere il momento più monotono dello spettacolo: il momento in cui il lavoro si reitera sempre uguale a se medesimo tanto da risultare imponderabile, questa volta anche letteralmente.
Dopo circa due ore di risate impazienti per uno spettacolo che alterna ad un buon ritmo complessivo momenti di eccessiva prosaicità, il muro è pronto. L'ultimo mattone che completa il puzzle, contemporaneamente ne cambia l'immagine riflessa, e al rassicurante interno domestico si sostituisce un bel cielo a pecorelle. Laurel e Hardy, soddisfatti, si siedono di fronte al loro lavoro. La metafora della vita si è compiuta, la quiete e il bello hanno preso il loro posto, ma sappiamo che domani ne comincerà una nuova, e per molti versi identica: per fare il cielo ci serve il muro.
Uscendo dal teatro, con una sensazione in bilico tra il soddisfatto e l'amareggiato, una cosa che puoi chiederti è: ma Laurel e Hardy in paradiso ci andranno o ci sono sempre stati? 
Simone Raddi

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